La Pasqua in Istria prima dell’esodo: un ricordo vivo nel cuore degli esuli,” così Anna Maria Crasti, Consigliere nazionale dell’ANVGD (Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia), rievoca le tradizioni e l’atmosfera di una festività profondamente radicata nella loro terra d’origine.
fonte: https://www.anvgd.it/ricordi-di-pasqua-in-istria-prima-dellesodo/
Quella Santa Pasqua felice. Era veramente felice?
È il desiderio che, allora, tutto fosse perfetto, che mi fa credere che tutto, proprio tutto fosse bello e che nella nostra vita ci fosse solo serenità e bellezza? Ma la Pasqua Santa e semplice, sì. Lo era.
E se era “alta” era ancora più festa: i giardini pieni di colori, le ginestre che iniziavano a fiorire, i ciliegi in fiore. Festa vera nell’aria e nei cuori. Sì iniziava con la domenica delle Palme.
Il taglio dei ramo degli ulivi spettava al capofamiglia, ogni anno una famiglia diversa forniva i preziosi ramoscelli da benedire, scelti con cura.
Alla Messa “alta” volevano partecipare tutti, noi bambini un po’ recalcitranti: mamme e nonne ci avevano severamente redarguito… “Te devi eser brava, no te devi girarte e voltarte, te devi star composta!”
E, con cipiglio ancor più severo… la xè ssai longa!
Per noi una condanna che subivamo rassegnati. Ma dopo, finita la cerimonia, mentre i grandi, a frotte, sul sagrato si perdevano in ciacole, noi piccoli se corevimo drio, scatenati. Finalmente liberi di correre, cadere, sbucciarci le ginocchia, ridere.
I riti della Settimana Santa, assiduamente seguiti, intervallati dalle febbrili pulizie pasquali. Tutto doveva brillare: gli oggetti di rame appesi, le piastrelle dei muri, i soprammobili, i pavimenti. Quel meraviglioso pavimento “del andito” in lastroni di pietra di Orsera.
Quelle case, già per civile consuetudine pulite, diventavano splendenti.
Santola Milia ‘veva una cusina
lustra e ‘dornagia come per le nosse,
ai viri gera le tendine roisse,
torno la capa
una carta verdina
Nonna Anna, sempre in movimento, senza risparmiarsi, dirigeva i lavori, impartiva ordini. Anche il grande cortile doveva essere scopato e allora… “Prima se devi butar su la tera un po’ de aqua ( materia prima preziosissima ) pe no far polvere e dopo scovar”.
E la preparazione delle pinze e delle titole? Croce e delizia di tutte le donne, non parliamo di nonna Anna. Era una gara per quelle che riuscivano più alte, più lucide più belle. Tutto: riti pulizie pinze venivano rispettati ed eseguiti.
Noi bambini, incuriositi da tanta frenetica attività, tentavamo di collaborare con goffi tentativi che finivano con rimbrotti e sgridate che ci mettevano in fuga. E felici di nuovo fuori a giocare e a divertirci. Arrivavamo fino alla collina dì Brustolade e allora a rotolarci giù per la discesa tra violette viola e bianche, profumate.
E si arrivava al venerdì Santo. Alle 3 del pomeriggio tutti, ma proprio tutti, quelli che si trovavano a casa si fermavano, si inginocchiavano, si segnavano con la croce in raccoglimento. Anche noi pici. Anche i contadini in campagna. Si ricordava la morte di Gesù.
Ci si lavava gli occhi non solo per preservarli dai malanni ma anche per aprire i cuori alla fede. Alla sera la grande processione. Lumini candele alle finestre e sui muri degli orti illuminavano le facciate delle case.
Si cantava il Miserere mei, Deus, e lo si faceva con tanta commozione. E, al sabato mattina alle 11, ecco lo scampanio forte gioioso ad annunciare la Resurrezione del Cristo.
Per i bambini un sollievo: finalmente non si respirava più quell’aria seria, quasi cupa che, in quella settimana, sovrastava ogni cosa, ogni gesto. Immediatamente dalle chiese sparivano i veli viola che coprivano le immagini sacre.
Pasqua!
Alla domenica la sveglia delle campane del Matutin. Alla prima Messa, nonna Anna e nonna Checca e tutte le donne anziane a far benedire la pinza e la titola con l’uovo tinto di rosso che occhieggiava al culmine della dolce treccia. E, alle 11, la Messa Alta. Piena di fedeli, la gioia pasquale nel cuore. Piena di canti, cantati con trasporto e passione, cantati a più voci.
Gli uomini con gli abiti della festa, le donne elegantissime, le ragazze con abiti nuovi da sfoggiare. Una gara per chi era la più elegante. I giovani che, neppur tanto di nascosto, sbirciavano le ragazze, specialmente la morosa.
C’era tanta curiosità, per Pasqua; dopo la pausa della Quaresima, apparivano le pubblicazioni matrimoniali. Noi bambini “ ziti e composti “ ci avevano ordinato severamente le mamme ma che zitti e composti, con tanti canti e la cerimonia “ de alto” che non finiva mai, tanto zitti e composti non eravamo.
E per noi pici finalmente, a Messa finita, liberi di correre di chiamarci di gridare di scivolare su quei lucidi scivoli di pietra che fiancheggiano la scalinata di San Martin, con spintoni, per non perdere il turno e litigando tra di noi “me toca a mi, te imbroi!”
E il pranzo di Pasqua preparato immancabilmente da nonna Anna, meravigliosa cuoca. Sempre il solito, come la tradizione imponeva
El persuto
I fusaroi col sugo de galina
El agnel de late rosto co le patate
La pinza e per noi pici una titola ciascuno.
Tutto innaffiato dall’ottima Malvasia di casa e dal Refosco.
Con la pinza gli uomini sorseggiavano la grapa, rigorosamente fatta in casa- cosa vietatissima – le signore el vin dolse. Ma tutti, proprio tutti dovevano mangiare un pezzettino di pinza o titola benedetta alla prima Messa “in sopa de vin bianco”, intingendola nel vino bianco.
E, come sempre, dopo un interminabile pasto, noi bambini, mangiato un pezzo di titola, a rincorrerci in cortile, con inutili tentativi di liberare dal pollaio galline e dindi.
Ma questa birichinata, nonna Anna, sempre paziente, non ce la perdonava.
Ci faceva smettere minacciandoci con una siba, mai usata, ma che ci faceva scappare in ogni angolo del grande cortile, correndo verso i gradini dell’orto, nascondendoci
nel magazzino pieno di ogni ben di Dio, con la connivenza di Bobi che, da cane meticcio intelligente com’era, non abbaiava, si accucciava guardando in alto con aria annoiata.
A posteriori credo che ci divertissimo proprio tutti, noi a scappare nonna a rincorrerci e Bobi a proteggerci.
E arrivava Pasquetta.
Tutti a Boveda, la nostra campagna. Mamma papà Franca io, gli zii e mio cugino, molti amici e don Francesco Dapiran, allora grande amico di papà. Tutti affiatati, pronti alla battuta, allo scherzo, alla presa in giro., spensierati. Tutto finiva con cori bellissimi, canzoni allora in voga, arie d’opera. Gli sguardi pieni di amore e gioia dei miei genitori.
Sono passati quasi ottant’anni, ma ancora e ancora sento il profumo delle violette schiacciate nel rotolare giù dalla collina, quello delle pinze, il festoso richiamo delle campane, sul sagrato,il brusio delle voci nel nostro dialetto cantato; ricordo quell’eleganza delle nostre donne, le grida spensierate di noi bambini, il pasto pasquale sempre uguale, el merendin.
E… si: era veramente un Santa Pasqua felice.
Auguri a tutti. Che sia una Pasqua di Pace, serena con le persone che più amiamo. Di Pace, come tutte le feste trascorse a casa, finché abbiamo avuto pace. Quella casa dove siamo nati e che non possiamo scordare.